domenica 2 febbraio 2014

AGGIORNAMENTO: Ben. 1. 3

Lucio Anneo Seneca

De Beneficiis
Libro I Capitolo III

[1.3.1] Perderà i benefici colui che crede di averli perduti troppo presto; Ma colui che insiste e accumula altri benefici su quelli precedenti, riesce a tirare fuori la riconoscenza da un cuore duro e ingrato. Di fronte ai molti benefici ricevuti non oserà sollevare gli occhi al cielo; ovunque si giri fuggendo la propria memoria, ti veda lì: circondalo con i tuoi benefici. [1.3.2] Dei quali benefici ti dirò quali siano la forza e le proprietà se prima mi avrai permesso di trattare rapidamente quegli argomenti che non sono pertinenti all’oggetto del discorso, ovvero per quale motivo le Grazie siano tre, per quale motivo siano sorelle, per quale motivo intreccino le loro mani, per quale motivo sorridano e siano giovani, per quale motivo siano vergini e per quale motivo abbiano delle vesti sciolte e trasparenti. [1.3.3] Alcuni da parte loro vogliono che sembri che ce ne sia una che dà, l'altra che riceve, la terza che restituisce; altri vogliono che esistano tre generi di benefattori: quelli che danno per primi i benefici, coloro che li restituiscono, coloro che li ricevono e che nello stesso tempo li contraccambiano. [1.3.4] Ma giudica tu quale tra queste due ipotesi sia la più veritiera; a cosa giova questa conoscenza? Perché esse, tenendosi per mano, danzano in cerchio? Proprio per questo, perché la sequenza dei benefici passando di mano in mano comunque torna indietro a colui che per primo ha donato e perde la sua integrità se per caso viene interrotta, mentre è bellissima se resiste e conserva il suo continuo avvicendamento. In questa danza tuttavia la maggiore delle Grazie gode di particolare rilievo, proprio come colui che dà per primo. [1.3.5] I volti sono felici, come sono soliti essere quelli di coloro che danno o ricevono benefici. Sono giovani, perché la memoria dei benefici non deve invecchiare; vergini, perché sono incorrotte, pure e sacre per tutti; in esse non è decoroso che ci sia alcunché di trattenuto né di vincolato; pertanto posseggono tuniche sciolte e per giunta trasparenti perché i benefici vogliono essere osservati da tutti. [1.3.6] Supponiamo anche che ci sia qualcuno tanto assoggettato ai Greci da ritenere queste cose necessarie, tuttavia non vi sarà nessuno che giudichi pertinenti alla materia trattata i nomi che Esiodo ha dato alle Grazie. Egli chiamò Aglaia la più grande, Eufrosine la seconda e Talia la terza. Ciascuno muta a proprio piacimento l’interpretazione di questi nomi e si sforza di condurli verso una qualche logica, quando in realtà Esiodo ha dato alle sue fanciulle il nome che gli è piaciuto. [1.3.7] E così Omero cambiò nome ad una di esse; la chiamò Pasitea e la promise in matrimonio, proprio per farti sapere che quelle non sono vergini vestali. Potrei trovare un altro poeta capace di rappresentarle mentre incedono con la cintura allacciata e con vesti di lana frigia o spessa. E quindi anche Mercurio sta con loro, non perchè il linguaggio o la ragione accrescono il valore del beneficio, ma perchè così sembrò opportuno al pittore. [1.3.8] Anche Crisippo, dotato di quel sottile acume capace di penetrare le verità più profonde, che in genere parla con grande coerenza argomentativa e si limita ad utilizzare solo le parole necessarie perché il suo discorso venga compreso, riempie come uno sciocco tutto il suo libro con questa roba, così da dire davvero poche parole sull’obbligo stesso del dare, del ricevere e del ricambiare i benefici; e non intreccia leggende a queste poche parole, ma al contrario intreccia queste poche parole alle leggende. [1.3.9] Infatti oltre a queste cose, che Ecatone trascrive, Crisippo dice che le tre Grazie sono figlie di Giove e di Eurinome, che per età sono più giovani delle Ore, ma che sono un tantinello meglio d’aspetto e per questo sono state date come compagne a Venere. Egli ritiene anche che il nome della madre abbia una sua pertinenza: infatti sarebbe stata chiamata Eurinome poiché il distribuire benefici è tipico di chi possiede ampie e smisurate ricchezze. Come se fosse usuale dare il nome alla madre dopo averlo dato alle figlie, o come se i poeti assegnassero nomi veri! [1.3.10] Come il nomenclatore, nel quale l'audacia prende il posto della memoria - e che quindi assegna un nome a caso a tutte quelle persone delle quali non se lo ricorda -, così i poeti non credono che sia una cosa pertinente dire la verità, ma, o costretti dalla necessità, o corrotti dal senso estetico, dispongono che ognuno sia chiamato con il nome che suona a pennello per il verso. E non ritengono di commettere una frode se hanno cambiato il rango di qualcuno; il poeta successivo, infatti, imporrà a sua volta il proprio nome alle Grazie. Affinché tu comprenda che le cose vanno proprio così, ecco che Talia - ovvero quella delle tre di cui stiamo soprattutto parlando - è Charis in Esiodo, Musa in Omero.

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