giovedì 27 febbraio 2014

AGGIORNAMENTO: Ben. 1. 5

Lucio Anneo Seneca
De Beneficiis
Libro I Capitolo V

[1.5.1] Ma allo stesso modo in cui passerò sopra alle cose futili, così è necessario che io spieghi quale sia la prima cosa che dobbiamo imparare, ovvero di cosa siamo in debito dopo aver accettato un beneficio. Uno infatti dice di essere in debito del denaro che ha ricevuto, un altro del consolato, un altro di un sacerdozio, un altro ancora di una provincia. [1.5.2] Queste cose tuttavia sono i segni dei meriti, non i meriti stessi. Il beneficio non può essere toccato con mano; è una cosa gestita dalla logica della coscienza. C’è molta differenza tra la materia del beneficio e il beneficio in sé; pertanto il beneficio non è l’oro, né l’argento, né qualcosa di quelle che sono ritenute del massimo valore, ma la volontà stessa del donatore. Al contrario gli stolti notano soltanto ciò che si presenta agli occhi e ciò che si consegna e si possiede, quando invece quello che di fatto ha valore, ed è prezioso, lo stimano poco. [1.5.3] Le cose che possediamo, le cose che guardiamo, le cose sulle quali si concentra la nostra bramosia, sono destinate a svanire; sia la sorte che la violenza possono strapparcele via. Il beneficio invece perdura anche dopo che è andato perduto l’oggetto per mezzo del quale è stato dato; infatti è una azione retta che nessuna forza rende vana. [1.5.4] Ho riscattato un amico dai pirati, questo stesso amico è stato catturato e rinchiuso in carcere da un nemico; questi non l’ha privato del mio beneficio, bensì del suo uso. Ad uno ho reso i figli strappati al naufragio o ad un incendio; questi stessi figli glieli ha sottratti una malattia o un’altra disgrazia fortuita; anche senza di essi permane ciò che attraverso di essi è stato dato. [1.5.5] Perciò tutte le cose che si arrogano falsamente il nome del beneficio sono strumenti attraverso i quali si manifesta la volontà amica. D’altra parte, anche in altre circostanze avviene che da un lato c’è l’aspetto esteriore della cosa, dall’altro la cosa in sé. Le onorificenze che il generale dà ai suoi soldati sono le collane, le corone murali, le corone civiche. [1.5.6] Cosa ha di prezioso la collana di per sé? E la toga pretesta? E i fasci? E il seggio e il carro trionfale? Nulla di tutto ciò rappresenta la carica in sé, bensì un segno della carica. Allo stesso modo non é beneficio quello che si manifesta agli occhi, ma impronta e indizio di beneficio.

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